Libro o racconto, che dir si voglia, è il testo più conosciuto della produzione di Antoine de Saint-Exupery, pubblicato il 6 Aprile 1943 a New York, da Reynal & Hichcock nella traduzione inglese, e qualche giorno dopo, dalla medesima casa editrice pubblicato anche in lingua originale, il francese.

La trama a prima vista può sembrare banale. Un pilota di aerei, precipita nel deserto del Sahara dove incontra inaspettatamente un bambino che gli chiede di disegnargli una pecora. Il povero e disgraziato aviatore, dopo vari infruttuosi tentativi, disegna una scatola. 

Cosa c’entra, direte voi, una scatola? Beh lui, l’aviatore intendo dire, afferma con sicurezza che la pecora si trova all’interno della scatola, venendo così approvato dal bambino il suo disegno che, altrimenti, lo avrebbe portato ad un isolamento.

L’amicizia nasce subito e si rinsalda poco per volta. Il fanciullo, spiegherà di vivere su un asteroide molto lontano, sul quale coabitano solo lui, tre vulcani ed una piccola rosa, molto ma molto vanitosa, che lui cura.

La cura per la rosa, l’ha fatto soffrire molto, perché spesso la rosa ha mostrato un carattere difficile.

Il bambino, il piccolo principe, viaggiando per lo spazio, ha incontrato molti personaggi, che gli hanno insegnato parecchie cose. Ma perché la pecora? Perché mangiasse gli arbusti di baobab prima che crescessero troppo e soffocassero il suo pianeta: ecco svelato il disegno che poi è finzione che poi diventa realtà. La pecora esiste solo sull’inchiostro di china, eppure ha una sua presenza concreta, se può avere una funzione.

Ma chi incontra questo benedetto Piccolo Principe, nel suo viaggio lungo l’asteroide, anzi gli asteroidi 325/330. Beh, incontra prima di tutti un vecchio Re solitario, che ama dare ordini ai suoi sudditi. (quale Re non lo farebbe?). Peccato che egli sia il solo abitante del pianeta. Poi il piccolo Principe incontrerà nel suo viaggio un vanitoso, un narciso uomo che chiede solo di essere applaudito ed ammirato, così, senza una ragione precisa;ma vi è pure un ubriacone che beve, per dimenticare la vergogna del bere; poi un uomo di affari che passa i giorni a contar le stelle, credendo siano le sue (le stelle non sono di nessuno caro mio); poi un lampionaio, che deve accendere e spegnere il lampione del suo pianeta ogni minuto, perché il pianeta gira a quella velocità.

 Diciamo pure che per quest’ ultimo uomo il Piccolo Principe prova un po’ di ammirazione, perché è l’unico che non pensa solo a sé stesso; poi un geografo che sta seduto alla sua scrivania, ma non ha idea di come sia fatto il suo pianeta, perché non dispone di esploratori da mandare ad analizzare il terreno e riportare i dati.

Proprio quest’ultimo consiglierà al Piccolo Principe di visitare la terra, sulla quale giungerà con grande stupore, per le dimensioni e la quantità di persone (sì lo so siamo in un deserto, ma il libro è magico, quindi evviva un po’ di immaginazione).

Il serpente, malefico, strisciante e sibilante è un altro dei personaggi. Poi un piccolo fiore, dalle alte cime, ed infine un giardino pieno zeppo di rose (come quelle sull’Aventino in un maggio odoroso. Io me le immagino così, e mi vogliate scusare).

Poi c’è una volpe, che non manca mai insieme al lupo per spaventare, terrorizzare, incutere timore e paura. Invece la volpe, furba immagino, parla a lungo dell’amicizia al Piccolo Principe e gli chiede financo di essere addomesticata e di essere sua amica. (quanto pagherei per avere una volpe per amica).

Poi è la volta di un indaffarato controllore, ed infine di un venditore di pillole, che calmano la sete, facendo risparmiare tempo. 

(“ehi principe, se incontri qualcuno che ha delle pillole per dormire, faglielo presente, perché io a dormire faccio molta fatica”. Ma questo sono io, il gigante buono).

Torniamo al nostro aereo che rimane guasto, rotto e non capiamo come il pilota non si sia fatto nemmeno un graffio. Ma c’è un cammino da percorrere, anche molto stancante. 

Il ristoro lo troveranno su una duna, ad ammirar il deserto nella notte. Poi, il pilota, con in braccio il piccolo bambino, scova un pozzo, che sicuramente l’acqua fa bene al cuore.

Maledetto quell’aereo che non parte, che si è fermato in questo luogo desolato. Se non fosse per questo bambino, il pilota sarebbe solo.

Ma il serpente? Ve lo ricordate? Forse ho esagerato a definirlo in termini viscidi e repellenti. Perché ad un anno di distanza dal suo arrivo sulla terra, il curvilineo animale, aveva detto che avrebbe avuto la innata capacità di portare chiunque molto lontano, quasi come fosse un dromedario, invece che un animale da terra e poco incline al trasporto. Avete mai cavalcato un serpente? Se sì, fatemelo sapere! Il serpente lo potrebbe riportare a casa sua, molto lontano, sul quel piccolo pianeta dal quale il Principe proviene, e dove vuole tornare

Ma il pilota, a sua volta addomesticato a vedere al di là delle magie e della realtà, mutando la metafisica in fisica realizzazione di presenze magiche, sa che non vedendo più il Principe e il Principe senza di lui sarebbero entrambi dispiaciuti: un comune dispiacere.

 Così il finale, prima del vigliacco morso del serpente alla caviglia del Principe, che cadrà esanime sulla sabbia. 

Ma non tutto è perduto. Si vive nella magia signori miei. Guardiamo il cielo, alziamo gli occhi al cielo (non per noia o per disappunto), ma per vedere in una stella il piccolo principe o per immaginarcelo come tale: una stella polare che brilla nel cielo.

 Il bambino scompare, perché deve curare assolutamente la sua rosa.

Insomma, ma cosa vuole dirci questa storia? Che l’essenziale è invisibile agli occhi, forse, qualche volta, sempre o quasi sempre, in questo mondo infernale.

Ma non illudiamoci, questo mondo è un letamaio, perché così l’abbiamo ridotto, l’avete ridotto un letamaio, sembra dirci il Principe.

Ecco che allora, il libro ed i suoi personaggi, possono essere letti come un messaggio di tolleranza ed accettazione, ma soprattutto riscoperta del valore dei sentimenti e dei legami affettivi, quelli che ancora ci sono se li cerchiamo.

Una favola che è anche un promemoria, di ciò che per noi è realmente importante, ma che per paura, o forse disattenzione, tendiamo a dimenticare.

Tutto ciò per paura di soffrire (io ho paura di soffrire ed evito le persone). Il senso del fallimento, la paura di sbagliare, che poi è il fallimento del pilota, che all’età di sei anni sogna questo viaggio, ma vi rinuncia per paura di non farcela. 

E così abbandona il suo sogno, il suo disegno, una delle sue più grandi passioni: quella di volare.

Il pilota è uomo adulto, ma non dimentica il sè bambino, conserva il disegno del suo aeroplano, per non dimenticare, giustamente, a che punto la mancanza di immaginazione degli adulti, possa essere grande e scoraggiante.

Il pilota sa, per sua esperienza personale, che spesso i grandi non capiscono mai niente da soli, e che i bambini si stancano di spiegar loro tutto ogni volta, che gli adulti non capiscono le fantasie dei bambini, e ciò è motivo di forte sofferenza per loro (come lo è stato per me da bambino).

 Forse anche per voi adulti, che vi proclamate tali e non vi ricordate come soffrivate da bambini, perché adesso, sì adesso, siete uomini importanti e realizzati e non vi importa più nulla.

Perché mettiamo da parte la nostra verve giocosa e creativa? Perché pensiamo che non ci possa essere utile nel mondo degli adulti? Così facendo, ci precludiamo il piacere di fare cose che ci rendono felici e che ci alleggeriscono (ah…la leggerezza), e dobbiamo riappropriarcene con difficoltà, se poi ci riusciamo, più spesso fallendo miseramente.

Il Principe ed il pilota, ecco il succo della storia, con il loro profondo legame di amicizia. Il Principe che non si scoraggia mai, che si trova nella immensità del deserto, e che pur essendo solo, non si perde mai d’animo, e che cerca di uscire da quella situazione, anche se non è per niente semplice, tutt’altro.

Un Principe desideroso di conoscere e sperimentare, che viene da un pianeta minuscolo (come uno studente fuori sede da un piccolo borgo, catapultato in una metropoli). Vuole conoscere gli uomini e le loro abitudini. Un bimbo coraggioso, mai smarrito né impaurito, ma semplice, puro, innocente.

Non conta quanto nella vita un uomo arrivi a possedere, ma piuttosto quanti legami sia riuscito a stringere: cosa conta davvero nella vita?

Certo è l’infanzia, il più bel periodo nella vita di ogni persona, ma anche il più traumatico, che dà un senso alla “morte” del Piccolo Principe. Questo bambino, morendo, sfugge ai pericoli che si possono correre una volta terminata l’infanzia, arrivati in questo inglorioso mondo degli adulti. Quando finisce la protezione materna (che per il sottoscritto non è ancora iniziata o mai terminata!).

L’autore non vuole avere una visione pessimistica della morte, rifiutandola, negandola, eludendola, ma non vuole neanche sottomettersi ad essa con passivo servilismo.

L’amicizia per l’autore è un valore importantissimo, di cui non si può fare a meno.

In questo romanzo sono molti i rapporti di amicizia, brevi o corti che siano, ma quello più importante è quello che si viene ad instaurare tra il Principe e la Volpe. 

Tutti i grandi sono stati bambini una volta, non dimentichiamolo mai, perché se siamo adulti, siamo stati anche bambini, se siamo anziani o vecchi, siamo stati bambini. A meno che non vogliate fare come il protagonista del film “Il curioso caso di Benjamin Button” che nasce vecchio. Ma sarebbe contro la natura umana, a cui il libro fa sempre riferimento. 

Nel libro il principe dice:” Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre, io comincerò ad essere felice”. 

Voi siete felici di aspettare una persona a cui volete bene, che vi procura piacere nell’animo? Certo se mi chiedi: “bimbo mi chiedi cos’è l’amore?” Cresci e lo saprai. “Bimbo mi chiedi cos’è la felicità?” Rimani bimbo e lo vedrai. 

Ma forse possiamo coniugare le due cose e rimanere piccoli bambini artisti nati, con difficoltà nel giacere artista nell’età adulta.

 Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere e non spaventare e non sopprimere di paure.

 Concludo con una celeberrima frase di Italo Calvino.

 “L’uomo porta dentro di sè le sue paure bambine per tutta la vita. Arrivare a non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo”.