Avete presente le recenti dimissioni di Tavares, la sua buonuscita da milioni di Euro, la sua faccia da crotalo velenoso, la nascita di Stellantis, i fallimenti e le disastrose politiche aziendali che hanno creato una holding con marchi italiani e francesi?
Ecco, qui non ne parleremo.
Qui voglio parlare di un gruppo aziendale, che purtroppo gruppo non è, perché privo di una sua autonomia patrimoniale, gestionale, personale, ma come azienda che è stata per anni, soprattutto nel passato, un mito, creando sogni, suscitando emozioni e producendo veicoli che hanno fatto epoca.
Il 24 Giugno 1910, infatti, veniva registrato l’atto notarile di costituzione della società Anonima Lombarda Fabbrica di Automobili, A.L.F.A.
Nasceva l’Alfa Romeo.
Sono stati scritti fiumi di inchiostro e distese di parole che non sarebbero sufficienti a raccontare la storia dell’Alfa Romeo, che ha compiuto 110 anni nel 2020.
L’Alfa nasceva sulle ceneri di una società francese Darracq (i ricorsi storici…), nata quattro anni prima e travolta dalla crisi economica degli anni precedenti.
Le sue quote, vennero rilevate da un gruppo di imprenditori lombardi, tra cui il cavalier Ugo Stella, che divenne l’amministratore delegato della nuova società,
Il progettista fu tale Giuseppe Merosi che elaborò la prima vettura prodotta nella fabbrica del Portello.
La vettura era la 24 HP. Aveva un motore 4000 cc da 42 cavalli e raggiungeva i 100 km/h, notevole per i tempi. La sportività della casa con questa vettura era già impressa nel suo codice genetico.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il mercato italiano non aveva utili sufficienti ad espandersi e la bassa capacità produttiva dell’Alfa non riusciva ad assicurarsi le commesse dell’esercito nel convertire gli impianti produttivi all’industria di guerra.
La società entra perciò in crisi e nel 1915 viene venduta alla Banca Italiana di Sconto che ne affida la gestione all’ìng. Nicola Romeo, titolare di un’azienda nei pressi del Portello, che si era aggiudicata una commessa per la produzione di proiettili. Le due società si fusero. Produssero munizioni, motori aeronautici e attrezzature da miniera. Crebbero così i profitti, tanto che nel 1918 Romeo rilevò la società dalla banca: nasceva l’Alfa Romeo.
Nei successivi anni “Venti” fu così che l’Alfa Romeo, cominciò a costruire la propria fama attraverso numerosi successi sportivi.
Nel 1923 l’Alfa RL guidata da Ugo Silvocci, vinceva la Targa Florio. Si narrava che, per motivi scaramantici, prima della corsa, il pilota avesse dipinto sulla vettura un quadrifoglio verde su fondo bianco. Da allora, quel simbolo accompagnerà tutte le competizioni in cui fu impegnata la casa.
Il nuovo direttore tecnico era tale Vittorio Jano, proveniente dalla Fiat, che grazie al modello P2 fece vincere all’Alfa il primo campionato del mondo automobilistico della storia con il pilota Gastone Brilli Neri.
Negli anni seguenti arrivarono altri successi, grazie all’innovativa 6C 1500 che permise grandi imprese a piloti come Antonio Ascari, Giuseppe Campari e lo stesso Brilli Peri.
La società, purtroppo, non versava in buone condizioni. Pesanti debiti gravavano su di essa.
Nel 1933, in piena depressione economica, le banche erano prossime al tracollo.
Lo Stato rilevò le quote dell’Alfa, e passò a gestire direttamente la casa automobilistica, pur con una situazione finanziaria gravosa e pesante.
Si pensò financo alla chiusura, ma fu il duce Benito Mussolini, che decise di salvare l’Alfa Romeo, inglobandola nell’ IRI ed affidandone la direzione ad Ugo Gobbato.
Razionalizzazione dei costi, rinnovazione produttiva, resero di nuovo l’azienda competitiva sul mercato.
L’ing. Jano progettò poi due modelli che resero le Alfa stradali, celebri in tutto il mondo: la 8C 2300 e la 8C 2900; auto di grandi prestazioni, lusso, raffinatezza tecnologica e notevole bellezza estetica.
Cambiava nel frattempo anche la strategia delle corse. L’Alfa non partecipava più da sola ed in modo ufficiale, ma cedeva l’intera struttura e le auto alla Scuderia Ferrari, fondata nel 1929 da Enzo Ferrari, proprio con lo scopo di acquistare vetture Alfa Romeo da utilizzare nelle gare.
Gli anni “Trenta” videro l’ascesa ad un livello che si può tranquillamente definire mitologico per l’Alfa Romeo. Fu l’epoca di Tazio Nuvolari e le sue celeberrime imprese, che vinse tutto ed ovunque. La sua grandezza, assunse un valore anche superiore, quando nel 1935, al volante di una P3, si aggiudicò gare che tutti ritenevano impossibili contro le strapotenti tedesche Mercedes e Auto Union. Nel 1937 infine L’Alfa Romeo tornava ufficialmente a gestire le competizioni, ed ingaggiava proprio Ferrari, come direttore sportivo fino al 1939.
La lenta e difficile ricostruzione dell’Italia, dopo la seconda Guerra Mondiale, ci fa catapultare negli anni “Cinquanta”, che vide il passaggio dell’Alfa Romeo dalla dimensione artigianale a quella industriale propriamente detta, in cui l’obiettivo divenne la produzione di auto a larga diffusione.
Nel 1950 uscì l’Alfa 1900detta anche Alfone, una berlina dal prezzo ragionevole, la prima a carrozzeria portante, di alta classe, per famiglia, ma veloce.
Lo slogan del momento era: “La macchina per famiglia che vince le corse”.
Il suo successo risollevò le sorti dell’Alfa, completate nel 1952 dall’introduzione al Portello della catena di montaggio. Il progettista principale diventò Giuseppe Busso, tornato in Alfa, dopo una breve parentesi in Ferrari. Busso firmò la meccanica di tutte le vetture principali dei successivi trent’anni, in particolare il famoso sei cilindri, che declinato in versione V6 venne prodotto fino al 2005.
Quegli anni cinquanta, segnarono il ritorno ai successi in grande stile nelle corse. Nel 1950 nasceva il Campionato del mondo di Formula 1, in cui l’Alfa dominò con la 158, soprannominata “Alfetta” per le sue dimensioni compatte, (una vettura progettata prima della guerra e successivamente nascosta).
I trionfi proseguirono nel 1951 con l’evoluzione 159, condotta da Nino Farina e Juan Manuel Fangio.
Tuttavia, al termine della stagione 1951, l’Alfa si ritirava dai gran premi a causa dei costi eccessivi.
Arrivato a questo punto, vi devo svelare il perché di questo mio articolo.
Sono un fervido appassionato di motori, cresciuto a pane e curve, in primo luogo perché mio nonno paterno partecipò, proprio con la sua Alfa 1900, a varie gare di regolarità come gentlement driver, ed infine perché ho il privilegio di potermi mettere al volante di un bellissimo coupé Alfa Romeo 2600 Sprint, di cui sono ora proprietario, appartenente alla nostra famiglia ininterrottamente dal 1963.
La 2600 Sprint nacque su quella che era l’Alfa 2000 Sprint del 1962, carrozzata Bertone e disegnata da Giorgetto Giugiaro, allora giovanissimo. Purtroppo però, il motore non era all’altezza su una vettura di generose dimensioni e tradiva la tradizione Alfa.
Fu così che nacque l’Alfa 2600, nelle versioni Sprint, Spider e berlina (quest’ultima di aspetto americaneggiante ebbe scarso successo).
Il motore è un generoso 6 cilindri in linea, doppio albero a camme in testa, monoblocco e testata in lega leggera, alimentato da tre carburatori doppio corpo, capace di erogare 145 cavalli di potenza, permettendo alla vettura di raggiungere facilmente i 200 km/h di velocità massima.
Servofreno, vetri elettrici e freni a disco sulle ruote anteriori, completano il quadro.
Tanti i ricordi dell’esemplare in mio possesso. Le gite fuori porta, i raduni con il RIAR (Registro Storico Alfa Romeo) e… i numerosi guasti meccanici. Ma ci sta, avendo la bellezza di 62 anni. Il colore è fuoriserie, tra il celeste ed il grigio, ed il volante, originariamente in bachelite, fu sostituito con un Nardi in legno, che mio padre volle regalare a mio nonno per i suoi cinquant’anni.
La carburazione, se regolata meticolosamente, permette miracolosamente di raggiungere livelli di ottimizzazione ai bassi regimi. Quello che sorprende ancora oggi, è la fluidità del motore, la precisione del cambio, dello sterzo e della tenuta di strada.
Poi, quello che contraddistingue quest’auto è il sound, quel sound che ogni Alfa Romeo deve avere e che il sei cilindri mette ancora più in risalto.
Non me ne vorranno i proprietari di auto elettriche, ibride o gli ecologisti. Io sono un purista e genuinamente non puritano. La macchina deve cantare, deve esprimersi, deve esprimersi con una melodia, deve danzare come una ballerina sul proscenio.
Sennò non è un’auto, è altro.
La carrozzeria è filante, le dimensioni sono robuste. Il frontale, bello e originale, ingloba i quattro fari. Posteriore tronco.
Le targhe sono nere, quadrate, ancora dell’epoca. Le dimensioni di questo coupé permettono un grande confort ai passeggeri, a differenza della successiva Alfa Gt e della precedente Giulietta Sprint, indubbiamente più maneggevoli.
La produzione della 2600 fu abbastanza ridotta perché furono prodotte poco meno di 7000 vetture dal 1962 al 1966, un breve periodo durante il quale fu anche adottata come pantera dalla Polizia Stradale.
Da “giovane” la mia 2600, permise lunghi viaggi in autostrada ai miei nonni. Si dice che il nonno viaggiasse, in assenza di limiti di velocità, sui 170 km/h fissi (ma ahimè con frequenti fermate dal distributore). Molti di questi viaggi, furono fatti poi, con rimorchio e barca al seguito, da mio padre il quale passò vacanze in Calabria, all’isola d’Elba, in Sardegna e perfino in Costa Azzurra.
Ragazzi miei, erano i mitici anni “sessanta” e la benzina costava 120 lire al litro.
Poi cosa successe?
Arrivarono gli anni “settanta” la crisi petrolifera e l’imponderabile aumento del costo della benzina. La macchina non fu venduta, ma dismessa nel box della casa al lago, e poi finemente restaurata, quando tornarono di moda le auto d’epoca che tanto affascinano oggigiorno.
Ma torniamo alle vicende della nostra casa automobilistica.
Dopo la produzione della 2600, la fabbrica dal Portello si trasferiva ad Arese, a cui si affiancò la pista del Balocco e dal 1968 la fabbrica meridionale di Pomigliano d’Arco.
Ad Arese venne prodotta la Giulia, con carrozzeria a forma unica, grande efficienza aerodinamica e motori parchi nei consumi. Ebbe grande successo commerciale.
La sua versione sportiva, la coupè Giulia GT e la configurazione da corsa GTA, furono le regine delle competizioni nella categoria turismo per più di un decennio.
Nel 1963 Carlo Luraghi creò l’Autodelta, diretta da Carlo Chiti, che divenne il nuovo reparto corse della casa.
La derivazione successiva della GT la 1600 spider, soprannominata duetto, fece raggiungere alla casa il punto più alto della sua fama, grazie al successo in America di questo modello, spinto anche dall’apparizione nel film “il Laureato” con Dustin Hoffmann e Anne Bancroft.
Negli anni “Settanta” saltano gli equilibri finanziari, cominciano gli sconvolgimenti sociali, che porteranno a grandi agitazioni sindacali ed anche a fenomeni di sabotaggio nelle fabbriche, operate dalle fasce più estreme del terrorismo rosso.
A Pomigliano d’Arco esce l’Alfa Sud, la prima a trazione anteriore, la prima a montare un motore boxer.
Nel 1972 fu l’anno dell’Alfetta, erede della Giulia, con il suo comportamento stradale fantastico, grazie allo schema motore anteriore, cambio e frizione montati al posteriore, ed alle eccellenti sospensioni sportive.
Nonostante le buone vendite, l’Alfetta, fu però un bagno di sangue finanziario, perché produrla, costava il triplo di quello che faceva incassare.
Inoltre, le interferenze politiche, diventavano sempre più pesanti. Nel 1974, Luraghi se ne andò, sbattendo la porta.
Non parliamo dei modelli Alfa 33, che ottenne un buon successo commerciale, con una linea discutibile, ma della infausta Alfa Arna, frutto di una infelice joint venture con la Nissan. L’uscita della Alfa 75 e della scialba Alfa 90, non riuscì a raddrizzare la situazione.
Un anonimato totale di Alfa Romeo, marchiato Fiat e statalizzato: troppi debiti e troppe perdite.
Lo stabilimento di Arese venne ridimensionato, fino alla chiusura nel 2005. Ma soprattutto le Alfa Romeo, a marchio Fiat, fecero allontanare la clientela, perché ritenute troppo anonime, come abbiamo detto.
La fine del XX secolo vide il canto del cigno dell’Alfa Romeo nelle competizioni, sempre nelle categorie turismo. La 155 TI V6 compì però una impresa, vincendo il campionato DTM in casa di colossi tedeschi con Nicola Larini, che si aggiudicò il titolo e Alessandro Nannini (fratello della celebre cantante).
Anche la 156 si comportò bene, vincendo quattro titoli europei consecutivi dal 2000 al 2003, tre con Fabrizio Giovanardi e uno con Gabriele Tarquini.
Nel 2005 ci fu il ritiro definitivo dell’Alfa Romeo dalle corse.
L’ALFA ROMEO OGGI
La 156 e la più piccola 147, prodotte anche in versione GTA con motore Busso V6 3.2 da 250 cv ebbero un ottimo successo, producendo numerosi esemplari.
Nel 2005 arrivò poi la 159, che non fu all’altezza, nonostante l’accattivante design di Giugiaro, per un peso eccessivo ed un’ampia concorrenza delle tedesche.
Siamo ad oggi e grazie alla 4C e soprattutto con la Giulia, si ritorna alla tradizione: trazione posteriore, e grandi prestazioni con la versione Quadrifoglio da 510 cv.
Poi, nemmeno il tempo di ammirarla ed esce il Suv Stelvio, dal design sportivo, fedele al marchio, moderno e dinamico. Il motto era “dovrà essere prima un’Alfa e poi anche un suv”.
Purtroppo la morte di un uomo, che per me, ma non solo, è stato un grande manager, Sergio Marchionne, ha di fatto decretato la lenta discesa del marchio Fiat, Alfa Romeo, Maserati e Ferrari. L’uomo in pullover, che ha trasformato ed ha salvato la Fiat, portandola nel settimo gruppo automobilistico mondiale. L’uomo che ha imposto la competenza sui numeri, ridiscutendo con le banche il prestito da 3 miliardi con la General Motors. L’uomo che ha cambiato il modo di vedere le cose anche sul fronte sindacale: attacca le rigidità del contratto nazionale, affronta su tutti i terreni la Fiom, negli stabilimenti e nei tribunali. A Cassino promette nuovi stabilimenti, nuovi modelli, nuova occupazione.
Una linea di credito fondamentale gliela apre Francesco Giangrande con la Uil che dirà: “questo è l’unico piano credibile che si sia visto negli ultimi anni”.
Per questo i 14 anni di Marchionne in Fiat, poi con la fusione con Chrysler FCA, sono stati una fase rivoluzionaria. A mio modo di vedere l’unica che ci sia stata, da quando ho memoria. Ma si sa che Marchionne aveva sposato una ereditiera, la Fiat, che non ha mai ereditato.
Ma non perdiamo la speranza, perché se è vero che Henry Ford ogni volta che vedeva passare un’Alfa si toglieva il cappello, l’Ing. progettista Orazio Satta Pulliga diceva: “ l’Alfa Romeo, non è una semplice fabbrica di automobili: le sue auto sono qualche cosa di più che automobili costruite in maniera convenzionale. E’ piuttosto una specie di malattia, l’entusiasmo per un mezzo di trasporto. E’ un modo di vivere, un modo tutto particolare di concepire un veicolo a motore. Qualcosa che resiste alle definizioni.
I suoi elementi sono come quei tratti irrazionali dello spirito umano che non possono essere spiegati con una terminologia logica”.