AUTOBIOGRAFIA CRIMINALE DI UN PAESE
Non sono certo aduso a sperticarmi in elogi a scrittori bravi.
Giancarlo De Cataldo lo è, punto e basta. Prosa asciutta, sintetica, che va dritta al punto e ti lascia divorare il libro, come fosse un piatto delizioso.
Ma c’è di più, non annoia mai. Non riesci mai a fermarti. D’altra parte egli e’ un uomo di grande cultura “criminale”, non fosse altro perché per quasi quarant’anni, ha esercitato nella capitale, prevalentemente il mestiere di magistrato di Corte d’Assise, dopo una breve parentesi alla sezione di sorveglianza.
Suo è il libro “Romanzo criminale”, che ci racconta gli intrecci di una Roma alle prese con una ferocia criminale senza tempo, con la Banda della Magliana che esercitava la sua egemonia sul traffico di stupefacenti, gioco d’azzardo, prostituzione e quant’altro. Una delle organizzazioni criminali più potenti che abbia operato a Roma, alla quale vennero attribuiti legami financo con Cosa Nostra, Camorra, N’drangheta, ma anche con esponenti del mondo della politica e della massoneria, della loggia P2, dell’estrema destra eversiva, dei servizi segreti e del Vaticano.
Mi fermo qui. Torniamo al nostro “romanzetto”, che senza tante pretese, scrive la storia di Italia, attraverso delitti più o meno eccellenti.
Questi ci restituiscono il mutare delle epoche, perché in epoche diverse sono avvenuti.
Vittime eccellenti, carnefici d’occasione e misteriosi mandanti, di complotti ipotetici e depistaggi fin troppo reali. Si caccia la verità e si cerca di mettere la parola fine a molti casi irrisolti della nostra Italia criminale.
C’e sempre un bar. Cosa c’entra il bar? C’entra, perché ogni organizzazione che si rispetti, qui a Roma, ha come base logistica un bar. Anche la banda della Magliana aveva i suoi bar, che avevano sempre vie di fuga nel retro, che nascondevano refurtiva, che erano camere di consiglio, dove si emettevano sentenze senza appello.
Un libro che non segue una linea logica, ma fotografa tanti delitti, tante storie, più o meno importanti del nostro paese.
La morte di una più o meno ignota modella, Christa Wanniger, fatta fuori per futili motivi, che sarebbe restata nel dimenticatoio, se non fosse che, nella partita dove hanno giocato un ruolo primario il generale De Lorenzo, il gran capo dei servizi segreti Renzo Mambrini e Pierri.
Ma tutto questo cosa c’entra? Perché l’omicidio di Christa sarebbe stato usato come merce di ricatto e di scambio nell’ambito di due colossi dell’economia nazionale: il petroliere Monti, molto vicino ad ambienti dell’estrema destra ed Eugenio Cefis, successore di Enrico Mattei alla guida dell’ENI. Il legame di Christa con il genero di Monti, potrebbe essere stato utilizzato per danneggiare l’industriale.
Tutto ciò a prescindere dal vero assassino di Christa Wanninger. Insomma una “scappatella” costata cara alla poveretta, che ha messo in subbuglio mezza Italia.
Segue l’avvincente storia di PPP, acronimo di Pier Paolo Pasolini, il poeta, il comunista, il frocio (come lui stesso si definiva).
Quello che con la macchina, tutte le sere, batteva i viali di Roma sud, alla ricerca di qualche pischello da abbordare, lusingandolo con il denaro, le cene ed il “servizio”. Gli andò male la notte del 2 Novembre del 1975.
Ah, a proposito, ricorrono i cinquant’anni dalla sua scomparsa, giusto quest’anno!
Personaggio sublimemente eclettico, amante della borgata, come fucina dove scovare i ragazzi di strada,i personaggi di suoi film come: “Accattone”, “Mamma Roma”, “Il Decameron”. Uomo geniale, che conosce bene il sottoproletariato, che gli ha dato il lavoro e lui lo ha dato a loro. Ninetto Davoli, sarà solo uno di questi “prodotti” che hanno fatto la storia.
Mai si è saputo, con certezza, che cosa sia successo quel maledetto due novembre all’Idroscalo di Ostia, se non che un certo Pino Pelosi, giovane adulto, fu reclutato da Pasolini, e, ribellandosi alle sue avances, lo avrebbe colpito ripetutamente con un oggetto contundente. Poi, non pago, si sarebbe messo al volante della sua Alfa Romeo, e senza patente e senza rendersene conto, sarebbe passato sopra il corpo già straziato di Pasolini. Fine.
Il resto è una macchia nera della nostra cronaca italiana.
Giornalisti che sanno di complici, ma che non vogliono rivelare, per paura di essere invischiati anche loro.
Certo è che Pelosi, condannato in primo grado ed in secondo grado, non era da solo quella sera.
Ma chi poteva volere la morte del poeta? Tanto odiato, perché disturbatore, perché combatteva la corruzione , la conosceva meglio di chiunque altro ma se la teneva per sè, con un dolore lacerante.
Il poeta sarebbe stato attirato in una trappola dai fratelli Borsellino, falange della banda della Magliana? Forse, aveva scoperto, nel suo romanzo “Petrolio”, il nesso stragi-petrolio, a partire dalla morte di Enrico Mattei, che avrebbe aperto le porte a Cefis, subentratogli nella guida dell’Eni.
Ma che importa nell’Italia degli Anni Settanta, feroce, spietata, che brinda all’assassinio di un personaggio scomodo. Scomodo perché intellettuale, scomodo perché omosessuale, figlio di una cultura moralista asfissiante.
Dice De Cataldo, che “in altri termini PPP era di sinistra e quelli che lo hanno processato, vilipeso, denunciato, condannato e infine ucciso, sono fascisti.
Certo ad uno così, non si da molto spazio nella nostra Italia bigotta e bacchettona. Così rimane il mistero, insoluto, fastidioso, ma che compiace gran parte dell’opinione pubblica, che vuole dimenticare questo intellettuale scomodo e marchettaro.
Poi De Cataldo, passa agli anni di piombo, quelli dove si spara, dove si lotta, dove si commettono feroci fatti di sangue, culminati con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
Tutto ebbe inizio con la strage di Piazza Fontana, il 12 Dicembre 1969, bollata come di matrice anarchica, anche se di anarchico ha ben poco.
Ma bolliamo fascisti, comusti, ed anarchici, e facciamoci proteggere da “mamma DC”. Due i casi portati alla luce da De Cataldo. Quello di Sergio Ramelli, studente modello al Molinari di Milano, all’epoca molto politicizzato, che subisce quello che tanti ragazzi subiscono oggi, viene bulllizzato e torturato psicologicamente. Lo terrorizzano, lo spaventano, lo intimidiscono, tanto da imporgli di lasciare la scuola. L’epilogo sarà dei piu’ tragici, quando viene colpito e ucciso con una pinza da un gruppo di studenti di Avanguardia Operaia di Medicina. Nessun legame di Ramelli con la politica: un omicidio esemplare. Poi abbiamo Walter Rossi, sì militante, ma morto in piazza, mentre manifestava le sue idee.
I funerali sono imponenti e vi partecipa, in privato, anche Sandro Pertini, non ancora presidente della Repubblica. Pertini, eletto al Quirinale un anno dopo, convocherà i militanti di Lotta Continua, compreso il fido Gad Lerner. Ma nessuno sarà mai stato condannato per l’assassino di Walter Rossi.
Tante sono le storie di quegli anni. Dal succitato rapimento Moro, alla strage di Bologna, all’ omicidio di Vittorio Bachelet. Atti di vigliaccheria propagandistica, che poco hanno a che fare con gli ideali e molto con la violenza bella e buona.
Poi De Cataldo, ci trascina, al 9 Ottobre 1982, la strage della Sinagoga di Roma.
La funzione è finita e due uomini con il volto scuro, lanciano qualcosa contro i fedeli inermi: sono bombe a mano. Non contenti, i delinquenti aprono il fuoco contro la folla disorientata . Trentanove feriti, fra uomini, donne e bambini.
Peccato che uno di questi colpi abbia tolto per sempre la vita al piccolo Stefano Gaj Taché, di appena due anni. I complici non saranno mai individuati. Mandante del delitto un certo, Al Zomar, che affida l’attentato a due palestinesi di passaggio a Roma. Parte la richiesta di estradizione, che però verrà respinta. Al Zomar, si è rifugiato in Grecia, verrà condannato in contumacia e riparerà in Libia.
Resta un altro giallo impunito, che lascia l’amaro in bocca.
Lascio a voi, cari amici del blog, la lettura degli altri “casi Irrisolti”, come il “delitto di via Poma” e chiudo con uno scandalo: a settant’anni dalla sua morte, si parla ancora di Wilma Montesi.
Il cadavere venne ritrovato, sulla spiaggia di Torvajanica, la mattina di Sabato 11 Aprile 1953. Non presenta tracce di violenza né di colluttazione.
Conduce una esistenza abbastanza anonima, ed il caso sarebbe un classico di “nera” se, molti giorni dopo il delitto, non partissero le prime bordate politiche, contro il giovane rampollo, Piero Piccioni, musicista di successo e figlio di Attilio, politico Dc. Mancano pochi giorni alle elezioni elettorali, ed il “caso Montesi”, viene utilizzato, per gettare discredito sul partito maggioritario.
Addirittura si parla di festini, organizzati in una villa con tutto il jet set romano. Wilma esagera e si sente male. Gli ospiti, temendo il discredito, la prendono e la gettano in mare. Le autorità insabbiano.
Non vi annoio, leggetevi le carte. Il processo sarà lungo e contorto, e si conclude con una assoluzione generale. Ancora adesso nessuno, puo’ spiegare con certezza come morì la povera Wilma Montesi.
Certo è, che come diceva Alfred Bester: ”L’essenza del delitto non muta. Si tratta sempre dell’assassino contro la società. La vittima ne e’ solo il mero prezzo”.
Ahimè, aggiungo io.