Ricordi proibiti (Malempin) di Georges Simenon
Questo romanzo di Simenon, scritto in Alsazia nel 1939, come diràil grande André Gide (premio Nobel 1947), “è la messa in pratica perfetta di quello che l’autore definisce il suo modello: far rivivere il passato nel, e… attraverso il presente”.
Dove i ricordi del passato si alternano a quelli del presente, a quelli del momento attuale. Un passato che vuol far luce sul presente, senza il quale sarebbe davvero incomprensibile. Lo zampino freudiano c’ è tutto.
Un medico è il protagonista di questo romanzo.
Un uomo borghese, dall’infanzia tormentata, nebulosa, rarefatta in ricordi che si alternano alla realtà.
Siamo in una Parigi descritta come illuminata da una luce che la rende simile al color pesca, ed Eduard Malepin, ha appena comprato un’auto nuova, verde.
Si domanda persino come mai abbia scelto quel colore tanto insolito, invece di un blu o un nero.
Vuole partire per il sud della Francia, con la famiglia, ma purtroppo, al suo rientro a casa, il figlio Bilot è ammalato. A differenza di suo fratello, il piccolino è di salute cagionevole e gli ricorda molto di sé quando era piccolo.
Così si ritrova accanto al bambino e lo veglia e lo cura. Pare sia affetto da difterite, una malattia estremamente contagiosa. Come la Madelaine di Proust, questo ricovero, questa veglia, questo raccoglimento, porta Malepin, a compiere un viaggio mentale, alla ricerca del tempo perduto.
La sua infanzia, la sua strana famiglia, le numerose anime nere che custodiscono segreti: il padre, la madre, i fratelli, gli zii ricchi. Ma i ricordi non sono piacevoli per Eduard, piuttosto, occasione per trovarsi davanti tutto lo squallore degli adulti che popolavano la sua vita.
C’è un fatto, un’ombra, che pesa al Dott. Malempin. Un episodio della sua infanzia che non ha mai affrontato apertamente. Un giorno, suo zio Tesson, un benestante che prestava soldi ad usura e aveva sposato una donna più giovane di lui, Elise, improvvisamente scompare.
La famiglia Malempin si recava con una certa frequenza a trovare lo zio, anche se i rapporti tra le due famiglie, non erano dei migliori. Più che visite di cortesia, erano richieste si soldi, per saldare i debiti che il padre di Eduard aveva fatto, per comprare una grande tenuta, facendo il passo più lungo della gamba. Insomma lo zio, un bel giorno svanisce. Nessuno si preoccupa più di tanto, se non che la madre di Eduard comunicherà alla polizia una data diversa, rispetto a quella in cui effettivamente il Tesson era passato da casa loro.
Un errore? Una bugia? Qualche settimana dopo, un giorno, andando a scuola, passando accanto ad una discarica, il giovane Eduard, nota, un polsino con un gemello che apparteneva sicuramente allo zio.
Malempin tace di questa scoperta, e per anni si arrovella sull’ipotesi che i genitori e forse anche la zia Elise, fossero coinvolti nella misteriosa faccenda.
Dopo la scomparsa dello zio, Eduard, viene mandato a vivere e studiare proprio in casa della sua zia Elise, che per lui è il suo immaginario di femminilità allo stato puro. Viene rimpinzato di dolci, cibo ed ogni ben di Dio.
Un giorno la donna accoglie in casa un tizio, con cui poi intraprenderà un viaggio a Nizza e si sposerà. Il rapporto con la zia diventa sempre più morboso, ma le cose si complicano, quando entra in scena il suo nuovo marito. Uomo violento, che la costringe a compiere atti sessuali, a cui lei si ribella in cambio di percosse e ingiurie.
Eduard sembra assistere a tutto ciò impassibile. Come se nulla accadesse. Quando non sono le immagini a sconvolgerlo, gli odori gli impregnano la mente.
La cucina della casa dei genitori, che sapeva sempre di brodo, perché a turno qualcuno si buscava sempre l’influenza. Ecco le sensazioni che ci comunica Eduard nel libro, quando poteva fare assenza da scuola, perché malato, e si isolava dal mondo,solleticato solo dalle urla della madre.
C’è poi la figura del padre, massiccia, alta, corpulenta ed ingombrante, con un carattere introverso e disinteressato ai figli. Se non che, una notte, aveva visto proprio il padre chino su di lui, con la lanterna in mano.
La zia, femmina allo stato puro, emblema della sensualità, bionda, rosea e polposa, in preda ad una crisi di follia, viene chiusa in un manicomio, dove finirà il resto dei suoi giorni.
Donna attaccata al denaro la buona Elise. Convinta che gli “uomini di legge” siano sempre pronti a fregarla.
Ad un certo punto, compare anche un testamento, scritto su carta velina, dove la zia attribuisce un lascito ad Eduard di ventimila franchi affinché lo stesso possa studiare, nella vicina scuola cattolica.
Il padre, uomo ambiguo e dedito all’alcol, morirà prematuramente, e la madre si ritroverà a fare la serva, anzi, come scrive Simenon, la governante.
Il fratello, perdigiorno e sempre squattrinato, più volte farà visita ad Eduard, per chiedergli denaro in prestito. Intanto quello che era un piccolo Eduard diventa un uomo, che sceglie di fare il medico, senza nessuna pretesa, quasi fosse un mestiere che potrebbe dargli lustro e rispetto. Conosce la moglie, di cui non èintimamente innamorato, quasi per caso, come se avesse messo un annuncio su un quotidiano.
Insomma un Simenon intimista, lontano dai romanzi che lo hanno reso celebre, attento ai pensieri più profondi dell’individuo, alla ricerca di episodi dell’infanzia, in cui trovare tracce nell’uomo adulto.
Ricordi del passato, che desiderano emergere, per raccontare il presente, luoghi, sensazioni, che riaffiorano per definire la persona nel presente.
Non a caso, nella versione Mondadori del 1960, il libro si intitolava “Ricordi Proibiti”, mentre l’attuale versione Adelphi, restituisce il titolo originale.
Proprio perché, preme sottolinearlo, protagonisti di questo romanzo sono i ricordi, frammenti sparsi di avvenimenti, di gesti, di scorci paesaggistici, come la campagna francese, il suo allagamento, la fattoria, gli animali da accudire, il cavallo con il carro.
Come suddetto, per Simenon il presente, si può capire solo attraverso il passato, e come per Freud, la rievocazione dell’infanzia, serve per comprendere la persona adulta.
Ciò che è successo allora, ha determinato le scelte dell’uomo di oggi, e anche il rapporto, pur precario ed imperfetto con il padre, èstato determinante negli anni, forse anche inconsapevolmente, anzi sicuramente inconsapevolmente.
Si crea così un clima di disagio, timore, a tratti opprimente. Simenon è maestro nel rievocare paure fanciullesche, sensazioni fugaci ma stagnanti, colori opachi, dettagli e conversazioni, come in una piece teatrale a rappresentare l’attimo decisivo. Una ricerca meticolosa nei propri ricordi, che però, potrebbe non portare a niente:” non ho alcuna certezza di arrivare alla verità”.
Il mondo degli adulti ne esce a pezzi, quasi tutte le persone, come accennavo prima, sono grossolane, malfidenti, legate ai soldi, incapaci di affetti sinceri e amicizie disinteressate. In definitiva un romanzo particolare, una sensazione che prende come quando si èincerti tra essere già svegli o ancora in dormiveglia, dove i suoni sono attutiti e i colori spenti.
La lontananza è a portata di mano, presente e passato si confondono, diversi piani si sovrappongono, per raggiungere alla fine una conclusione, una scelta, quella del respiro della vita, dell’azione, della luce, dello sguardo verso il domani.
Concludo con una mia personale convinzione: questo romanzo eèanche e non solo, fortemente autobiografico.
Lo stesso Simenon belga di nascita, da bambino non gode di ottima salute (come il piccolo Bilot che poi guarirà) e proprio la cagionevole salute del piccolo, è uno dei motivi di scontro tra le famiglie, o meglio i clan, Simenon e Brull: sarà l’autore stesso a ricordare, in numerose interviste, il difficile rapporto con i genitori e le rispettive famiglie di origine, ed il suo difficilissimo rapporto con la madre Henriette, morbosamente emotiva, ma insensibile alle emozioni che provavano gli altri.
Sue sono le mille residenze che ha avuto, dal primo soggiorno parigino, al viaggio sulla chiatta Ginette nella Francia del nord, alla fuga dalla Francia, per una accusa infondata di collaborazionismo (che portò alla morte il fratello, di cui la madre lo riterràresponsabile), per stabilirsi in Texas e poi in Connecticut. Tornerà in Francia nei primi anni Sessanta.
Sua l’amicizia con Fellini, sua la sua indole da playboy, che lo portò, a suo dire, con più di diecimila donne, spiegando come di queste, circa ottomila erano prostitute, e anche le altre, erano di estrazione sociale inferiore alla sua: domestiche, cantanti, ballerine, spogliarelliste e cameriere.
Sempre sua l’affermazione per cui egli non si trattava di essere un maniaco sessuale, ma che fare sesso era per lui come respirare e comunicare.
Insomma, la vita si divide in tre tempi, come direbbe Seneca: il presente, il passato ed il futuro. Di questi, il presente è brevissimo, il futuro dubbioso, il passato certo.
Ma non facciamoci condannare dal passato, pur senza cancellarlo, perché ci ha reso quello che siamo oggi. Anzi ringraziamo chi ci ha fatto scoprire l’amore, il dolore, chi ci ha amato oppure usato, chi ci ha detto “ti voglio bene” credendoci, e chi invece, l’ha fatto solo per i suoi sporchi comodi.
Piuttosto realizziamo come abbiamo vissuto il passato, e ringraziamo noi stessi, per aver trovato la forza di rialzarci e andare avanti, sempre.